mercoledì 9 ottobre 2013

Per una Europa "dei popoli"


Per una Europa "dei popoli"

NANDO IOPPOLO, October 10, 2010 at 9:56pm
 “Io sono giunto alla conclusione che tutto ciò che di economia mi è stato insegnato all'università dagli esperti della materia si è rivelato totalmente falso!” (F.D.Roosvelt a Sir Halifax, 10.08.1941)

In ogni società organizzata, e la nostra non fa certo eccezione, esiste una sorta di ipnosi di massa che ostacola la formazione di un pensiero autonomo e perfino la presa di coscienza di elementi di fatto pur rilevanti e che ci toccano da vicino quando gli stessi vengono negati da scienza, media e/o autorità religiose o  vengono da essi spiegati in modo diverso e opposto a come ci appaiono.

E’ per questo che oggi, per quanto siano diffusi il senso critico e le capacità analitico-sintetiche, per quanto accessibili siano le informazioni anche non gradite a chi comanda e per quanto ognuno di noi sia critico verso diversi aspetti dell’economia e/o verso la loro lettura ufficiale, tarda a farsi strada una lettura “diversa” rispetto a quella oggi egemone, tanto che si parla ormai da tempo di un “Pensiero Unico in economia” che accomunerebbe partiti di governo come di opposizione e perfino la stessa opinione pubblica, inclusa quella più antagonista.

Un conto, infatti, è essere critici o perfino ipercritici ed un altro è saper proporre una alternativa a ciò che oggi esiste, delineandone i contorni in maniera sufficientemente articolata e credibile. E’ per questo che il pensiero critico è per lo più circoscritto a questo o quell’aspetto, senza riuscire ad indicare una via “altra” per l’organizzazione economica planetaria come locale e  pone invece la questione in termini sterilmente moralistici o deraglia verso l’utopia ingenua o visionaria.
Eppure, chi più, chi meno, chi notandone alcune e non altre, rileviamo una serie di incongruenze macroscopiche nella visione “ufficiale” della realtà economica proposta da scienza e media, tanto da rimanere smarriti e incerti su cosa pensare, e, quindi, fare.

La recessione “negata”

E’ notevole, infatti, il restringimento (ufficialmente negato) del mercato che si registra all’interno di ogni paese sviluppato ed è evidente pure che il processo sembra essere progressivo e apparentemente inarrestabile. Non convincono affatto né le negazioni della realtà di questo fatto, né le promesse di una ripresa che ci dicono essere sempre “dietro l’angolo” senza però spiegarne il perché. Quasi tutte le imprese medio-piccole licenziano, disinvestono, non operano gli ammortamenti e/o falliscono o vivono al confine della sopravvivenza. Qualsiasi intrapresa mercantile che non sia “di nicchia” non è più sufficientemente redditizia, chiudono bar e ristoranti, soffre l’abbigliamento ed il commercio in genere, aumentano le morosità nelle affittanze e nelle spese condominiali e appaiono sempre più cartelli “affittasi” in città del nord sviluppato che non ne vedevano ormai da 50 anni. I servizi pubblici peggiorano in continuazione, le strutture pubbliche difettano sempre più di manutenzione e le comunità locali risparmiano sempre di più sulle “piccole opere”, e le strade che sempre più frequentemente restano bucate o vengono solo rattoppate anziché essere riasfaltate ne danno una immagine quasi caricaturale. Nel contempo le città cominciano a spopolarsi lentamente e le località turistiche tradizionali mete di famiglie e giovani vedono ridursi progressivamente i soggiorni. Ed infatti peggiorano parallelamente le condizioni di vita di lavoratori e ceti medi, aumenta il ricorso al lavoro “nero” e si generalizza il ricorso al lavoro precario, cui anche le grosse imprese ricorrono massicciamente per le lavorazioni non transitorie.

Il senso dell’Export-Import e la concorrenza “sleale” dei trust delocalizzati

E’ il “caporalato”, istituzionalizzato bipartisan ed oggi generalizzato!
Forse si pensa davvero che si possa battere così la concorrenza “sleale” delle multinazionali delocalizzate in aree del terzo mondo dove producono sottocosto nel massimo dispregio della natura e dell’uomo per poi riesportare al nord il 95% della produzione così ottenuta?
Ma se il costo del lavoro rappresenta di media il 5-10% appena del costo di produzione, nemmeno se i nostri lavoratori lavorassero gratis si potrebbero compensare i maggiori costi sostenuti dalle nostre imprese per la tutela della sicurezza e dell’ambiente e per le maggiori imposte da loro pagate!
Ma del resto è tutta la logica di base con cui si affronta il tema dell’Export-Import  che è assurda: come non capire che è impossibile un sistema-mondo in cui alcuni paesi Esportano sempre ed altri Importano sempre? Come non capire che volere Esportare di più di quanto si Importa vuol dire pretendere di Esportare nei paesi fratelli, insieme alle nostre merci ed ai nostri servizi, anche tanta disoccupazione e tanti fallimenti quanti ne induce necessariamente la mancata produzione nazionale che andiamo a soppiantare con le nostre Esportazioni? E quando dopo altre sanguinosissime guerre mondiali imperialistiche tutto il mondo avesse una sola bandiera e una sola moneta, come altrimenti si pensa di risolvere il problema se non basando lo sviluppo sul mercato interno? E tutto questo tacendo degli effetti “collaterali” delle delocalizzazioni in termini di inquinamento(chi ha visto dal satellite il nuvolone giallastro che aleggia sopra la Cina?) e, algebricamente parlando, in termini di impoverimento differenziale: quando si delocalizza a, poniamo, Detroit, la contrazione di Domanda effettiva che si viene lì a determinare è infatti necessariamente un multiplo della Domanda effettiva che si viene a creare a, poniamo, Shangai, per effetto della delocalizzazione, con la conseguenza che sotto un profilo prettamente quantitativo la delocalizzazione contrae in mercato internazionale a disposizione delle imprese del pianeta alimentando la recessione internazionale.
Vantare poi successi commerciali per avere venduto in Cina più torni e presse senza avvedersi che questi successi tornano necessariamente sulla nostra testa come un boomerang in termini di manufatti cinesi costruiti con quei torni e con quelle presse è semplicemente demenziale!

La sottostima ufficiale dell’inflazione ha dimezzato retribuzioni, pensioni e PIL

Parlando di inflazione le cose non stanno affatto meglio: innanzitutto va detto che nonostante l’ISTAT si ostini a rilevare una inflazione contenuta, tutti si rendono bene conto che in realtà mente sapendo di mentire “aggiustando” le rilevazioni e adottando panieri sempre più originali. La tesi ufficiale è che salari, stipendi e pensioni “reali” hanno “tenuto” da Maastricht in poi, ma un po’ tutti si rendono perfettamente conto che non è così. Manca in molti la consapevolezza dello strumento concretamente responsabile della contrazione progressiva che ha subito il potere di acquisto dei lavoratori e dei pensionati, tant’è che molti continuano a ritenerne responsabile il cambio lira-euro praticato nel 2001, come se il potere di acquisto si fosse dimezzato istantaneamente allora nonostante tutti noi  avessimo gli occhi sgranati a cogliere il minimo inganno posto in essere dai commercianti al dettaglio. Pochi, invece, hanno tenuto d’occhio l’andamento dei listini all’ingrosso e, quindi, hanno monitorato le rilevazioni ISTAT. Chi invece l’ha fatto, vuoi per interesse culturale, vuoi per ragioni di bilancio commerciale, ha potuto constatare personalmente che dal ’92 ad oggi l’inflazione è stata ufficialmente sottostimata mediamente di circa 3 punti percentuali l’anno, più che dimezzando, in definitiva, le retribuzioni e le pensioni “reali” rispetto ai livelli di 15-20 anni or sono! E se ricalcoliamo anche la spesa pubblica ed il PIL allo stesso modo, constatiamo che anch’essi si sono nel frattempo dimezzati, il che spiega perfettamente ciò che altrimenti appare inspiegabile, sia la contrazione del mercato interno, ovvero la recessione, sia l’impoverimento generalizzato che si sono registrati in questi anni.

La truffa di Maastricht

Per meglio comprendere, però, occorre ricordare che erano tre i parametri fissati a Maastricht ad ogni paese preunitario, di cui tuttavia bastava raggiungerne almeno due su tre entro il 2001. Essi erano: 1)inflazione sotto il 2%, 2)rapporto debito/PIL sotto il 60% e 3)rapporto deficit/PIL sotto il 3%.
Al di là della ambiguità implicita nella richiesta rivolta ai governi di contenere l’inflazione (v. nota 1), per paesi come l’Italia o il Belgio Maastricht comportava dunque il rimborso in pochi anni di circa metà del debito pubblico pregresso e l’impegno a contenere la sua … velocità di aumento (sic!) entro il 3% del PIL. In base ai principi pseudo-liberisti implicitamente accettati nel sottoscrivere questo accordo, questi due obiettivi non avrebbero dovuto essere perseguiti facendo crescere il PIL, e meno che mai praticando dell’altro deficit-spending, ma solo attraverso finanziarie “rigorose” che, in regime di “deregulation valutaria” (ovvero di totale apertura a qualsiasi transazione mobiliare, anche solo speculativa) non potevano essere gravate sui ceti possidenti ma solo aumentando il carico fiscale sulle classi lavoratrici e tagliando la spesa pubblica, segnatamente il welfare. Ogni rimborso così praticato, però, implicava una pari contrazione del mercato interno che generava i ben noti effetti recessivi multipli (v. appresso). La scommessa sottoscritta a Maastricht era che questi sacrifici patiti nell’immediato (dai dominati) sarebbero stati più che compensati da un grande afflusso di Capitali da tutto il mondo rendendo meno caro il costo del denaro e riducendo così il peso degli interessi passivi privati e pubblici, nonché, grazie al’euro “forte”, il costo delle materie prime, segnatamente la spesa energetica.
Quasi nessuno riuscendo a conseguire così gravi parametri, peraltro rinnovati con il “patto di stabilità”, gli organismi comunitari chiusero infine entrambi gli occhi e si accontentarono della “buona volontà” mostrata dai governi che, come quelli succedutisi alla guida del nostro paese, hanno imposto gravissimi sacrifici al mondo del lavoro pur senza conseguire nessuno dei tre parametri, prestando pure fede ai nostri conti “arrangiati”, seguiti a ruota dalle agenzie internazionali di rating, la cui attendibilità, sempre più ridotta man mano che si succedevano gli scandali, è ormai ai minimi termini dopo la crisi dei subprime.   Insomma, siamo entrati in Europa senza un vero dibattito ma solo in una ebrezza europeista incoraggiata dai media e dai politici di ogni orientamento e dietro la promessa che il nostro progresso economico e sociale sarebbe disceso automaticamente dal semplice “aggancio” del nostro “vagone” al moderno e lesto “treno” dell’Europa più sviluppata.

Euro “forte” o euro “debole”?

Qualcuno si avvide che la continua svalutazione della nostra “liretta” ci garantiva una competitività pur “stracciona” che però beneficiava intere aree del paese, a partire dal nostro nord-est, ma ci dissero che l’euro “forte” ci avrebbe fatto risparmiare sul costo delle materie prime, a partire dalla energia. Quanti si resero conto che per una economia di trasformazione come la nostra il rincaro in lire dei costi d’impresa ci avrebbe penalizzato assai meno del rincaro in euro dei prezzi di vendita all’estero dei nostri manufatti? E poi, più in generale: se dobbiamo combattere l’inflazione per evitare che ci porti in rovina, ha senso rovinarci volontariamente comprimendo deflattivamente il mercato interno al fine di contenere l’inflazione per … evitare che sia lei a rovinarci? Occorrerebbe almeno che la prima “rovina” fosse minore della seconda, il che non è, come tutti possono constatare.
L’arcano si spiega perfettamente, invece, disaggregando la parola “noi” e indagando in termini di “cui prodest” per scoprire in definitiva chi preferisce la deflazione anche se è recessiva e chi preferisce l’espansione anche se è inflattiva, nonché chi preferisce l’euro “forte”, anche se ancora una volta a costo di recessione, e chi ritiene che la recessione sia un prezzo troppo alto da pagare per “pompare l’euro” o perfino lo vuole “debole”. Così procedendo, la prima cosa che salta agli occhi è che se l’inflazione rincara il prezzo di vendita all’estero delle nostre merci, è pure vero che l’euro “forte” sortisce anch’egli il medesimo effetto. Ne discende il teorema, ben noto a tutti gli operatori di Export-Import ma stranamente ignorato da media e politici, che per mantenere inalterata la competitività relativa dei rispettivi Export-Import tra due paesi che registrano due diversi tassi di inflazione interna, basta semplicemente svalutare il cambio della Moneta del paese a più alta inflazione rispetto a quella del paese a più bassa inflazione in misura pari … al loro differenziale di inflazione!

La “deregulation” valutaria e borsistica

Certamente per farlo occorre che, com’era fino agli anni ’80, il potere di fissare il cambio sia centralizzato e che i paesi in commercio tra di loro contrattino politicamente le rispettive ragioni di scambio, una opzione non gradita alla elite creditizio-finanziaria ed ai ceti possidenti suoi alleati. Per potere svalutare il cambio in maniera concertata occorre innanzitutto, infatti, che gli euro non possano essere trattati in borsa come qualsiasi altro titolo o commoditiy, abbandonando la scelta fatta a Maastricht in un’orgia pilotata di pseudo liberismo, di lasciare totalmente  beanti le frontiere valutarie della UE (la così detta“deregulation valutaria”) a qualsiasi transazione valutaria, incluse quelle esclusivamente speculative, e occorre vietare in borsa le operazioni semplicemente speculative, sia rialziste che ribassiste (rinnegando la “deregulation dei mercati finanziari”).

L’inflazione speculativa dei cespiti mobiliari e immobiliari

A questo punto, per potere meglio comprendere occorre innanzitutto indagare il senso ultimo della crescita dell’indice di borsa o del prezzo al mq degli immobili quando non è accompagnata da una pari crescita della ricchezza “reale” che i titoli dovrebbero pur rappresentare o della qualità degli immobili i cui prezzi stanno crescendo. In questi casi, dobbiamo infatti ammettere che non cresce affatto la ricchezza “reale” della collettività ma si registra una semplice inflazione speculativa mobiliare/immobiliare che aumenta il valoremonetario dei cespiti nelle mani di chi li detiene consentendo loro di comprare con essi, in realtà senza pagare davvero, più beni e più servizi di prima, sottraendoli ai ceti produttivi. Ed invece siamo abituati da decenni a pensare che l’inflazione possa riguardare solo i beni e i servizi, ed a prestare riverente attenzione all’andamento delle borse ed a credere acriticamente che anche una simile crescita sia positiva in sé, pur se non sappiamo dire perché e spesso non ce lo chiediamo neanche. Potenza della ipnosi di massa!
Dobbiamo anche pensare che quando un titolo viene quotato di più di quanto vale davvero, finchè non si sgonfia la “bolla” darlo in pegno per operazioni di credito o cederlo monetizzando la differenza di valore a danno dell’acquirente che soffrirà la perdita in un secondo momento, quando la quotazione si riallineerà al valore effettivo o “reale”.
Poiché però i mercati borsistici sono dei mercati speculativi dominati da pochi operatoriinternazionali dotati di Capitali inimmaginabili (Soros materializzò dal nulla circa $ 500 Mld nel ’93 quando fece una swap vincente contro lira, sterlina irlandese e pesata, e nessun paese potè contrastarlo per mancanza di sufficienti risorse, laddove le multinazionali possedevano allora in portafogli più valute internazionali di quante ne possedessero di riserva tutti gli stati del mondo messi assieme!). Ne consegue che se in tempi normali un po’ tutti possono tentare di indovinare il trend in atto di questo o quel titolo, valuta o commodity che sia, ed usare strumenti speculativi quali i futures, le options e simili, scommettendo né più né meno che come ci si trovasse al Casinò, quando scendono in campo i grossi operatori i Capitali che vengono movimentati sono decine, ma spesso centinaia, migliaia e più rispetto a quanto viene ordinariamente movimentato, vendendo su molte borse e contemporaneamente gigantesche quantità di certi titoli e facendo nello stesso tempo milioni di scommesse ribassiste a credito. In questi casi i mercati finanziari non sono più di concorrenza e si creano inevitabilmente quelle che in gergo si chiamano “profezie che si auto-avverano”.
Avvenne così anche dieci anni or sono quando le banche argentine chiusero i loro sportelli per pochi giorni e prestarono tutti i pesos dei propri clienti a delle loro complici USA che li usarono per una swap contro il peso attuata vendendoli contemporaneamente nelle borse di mezzo pianeta ed insieme scommettendo al ribasso Capitali reperiti a credito in quantità multiple (è questo il così detto “effetto leva” per cui scommettendo a credito si mimano vendite decine di volte maggiori rispetto ai Capitali impiegati), facendo così rapidamentedimezzare il valore del peso, e ricomprandoli quindi lentamente nei giorni seguenti a prezzo dimezzato per restituirli alle loro complici argentine con cui fecero quindi a mezzo del “malloppo” così arraffato.

Il circolo Denaro-Denaro e il circolo Denaro-Merce-Denaro

Esistono infatti due circuiti distinti tra loro:
1)da un lato, esiste il circuito mercantile, il così detto “circolo Denaro-Merce-Denaro”, nel quale il denaro si trasforma in una quantità maggiore di denaro solo applicando contemporaneamente la fatica e l’intelligenza umane alla trasformazione fisica della natura onde produrre “merci” da vendere con profitto sul mercato;
2)dall’altro lato, esiste il circuito finanziario, il così detto “circolo Denaro-Denaro”, nel quale il denaro si trasforma in una quantità maggiore di denaro senza alcuna creazione di “merce”, ma solo con la speculazione. 
Solo nel primo circuito ci si arricchisce creando nel contempo ricchezza “reale” di cui pure gli altri usufruiscono, se pure nelle forme e quantità determinate dal sistema distributivo, giusto o ingiusto che esso sia.
Nel secondo circuito, invece, non avviene nessuna creazione di nuova ricchezza, ma aumenta solo la capacità di prelievo della ricchezza “fisica” prodotta da chi opera nel primo circuito da parte di chi possiede cespiti mobiliari e immobiliari ed opera nel secondo circuito.
Anziché gioire da beoti dell’aumento dell’indice di borsa, dunque, dovremmo semmai rattristarcene e chiederci pure, da un lato, quali rischi comporta la instabilità dei mercati finanziari non regolamentati, e, finalmente, dall’altro, chiederci quale sia in definitiva l’architettura creditizio-finanziaria che serve al capitalismo e quale  invece il capitalismo che serve all’attuale architettura creditizio-fianziaria!
Dell’instabilità abbiamo tutti constatato quanto sia alta e pericolosa. La crisi dei subprime ce lo ha fatto bene intendere e pure prescindendo dalle tante bugie che si sono dette sull’argomento, tutti hanno compreso che stiamo fumando sigari su una polveriera!
Dell’architettura creditizio finanziaria più funzionale al capitalismo, invece, poco o nulla si dice, lasciando intendere senza darne alcuna dimostrazione che non possa che essere quella attuale o che almeno essa sarebbe la meno peggiore pensabile. Eppure le incongruenze si sprecano:
1)il “peso” degli oneri finanziari incide molto all’interno del costo di produzione, in genere molto di più del costo del lavoro e spesso passa il 50% del totale;
2)il saggio di interesse non è rimesso al libero incontro della Domanda e della Offerta di Capitali, ma è fissato d’autorità dalle banche centrali, le quali, a loro volta, non sono enti pubblici ma società private. In Italia, ad esempio, la BdI è dal ’94 una spa il cui pacchetto di maggioranza … è oggi detenuto al 66% da Unicredit e Intesa!
Se fosse davvero il mercato a fissare il saggio di interesse, occorrerebbe in primis che fosse un mercato concorrenziale, e, dunque, che non esistessero accordi di cartello, trust e simili quali dunque Basilea3, tanto per cominciare!

Il “gap” tra Risparmi e Investimenti e l’esubero endemico dei Capitali

Lasciando per il momento da parte la questione se sarebbe bene o male che fosse piuttosto lo stato a fissare il saggio di interesse nel supremo interesse del paese, registriamo qui lo squilibrio notevole che esiste oggi in tutti i paesi sviluppati tra i Risparmi che residuano alla fine di ogni ciclo D-M-D, che sono pari ogni anno al 20% circa del PIL, e gli Investimenti produttivi che si effettuano nel ciclo successivo, pari ad appena il 3-5% del PIL.  Altro che “fame” endemica di Capitali, dunque, essendoci semmai il loro esubero endemico, in quanto già solo i Risparmi sono circa 5 volte quanto serve ai fini produttivi! Non ha dunque alcuna giustificazione economica la iper-remunerazione dei Redditi da Capitale e la loro tassazione privilegiata, così come quella dei patrimoni, e, ancora, non ha alcun senso tecnico fare “sacrifici” per aumentarne la dotazione e poi vederli rivolgere  verso gli impieghi speculativi anzichè verso quelli produttivi. Esiste anzi un “gap” di Domanda effettiva all’inizio di ogni nuovo ciclo che è pari a circa 1/6 del PIL (sistematicamente quanto incredibilmente ignorato da scienza, media e politici) e che necessita di essere colmato con una componente di Domanda effettiva che sia autonoma dal sistema distributivo e senza la quale si avvia una impansione progressiva dell’intero sistema che viaggia al tasso determinato dal differenziale di Domanda non colmato.
E quanto detto basta anche per concludere che non sono certamente le esigenze produttive che presiedono alla fissazione del saggio di interesse e le cose stanno anche peggio se consideriamo il peso esercitato sulle imprese dagli oneri finanziari determinati dalle esigenze di cassa e dalle anticipazioni su fatture e cambiali. Certamente esiste anche la Domanda di denaro da parte dei privati per ragioni di finanziamento dilazionato per Consumi e per beni durevoli quali la casa e l’auto, ma occorre soprattutto considerare quale sia l’Offerta con cui questa Domanda dovrebbe incrociarsi per determinare il prezzo del denaro, ovvero il saggio di interesse. L’Offerta di Moneta, infatti, è da tempo quasi totalmente indipendente dai depositi dei correntisti. L’attuale livello di integrazione bancaria e l’uso generalizzato di Moneta elettronica hanno da tempo ridotto a frazioni infinitesime la percentuale di riserva prudenziale che le banche dovrebbero mantenere per evitare la bancarotta ove si diffondesse il panico tra i correntisti. Se teniamo buone le percentuali fissate a Basilea2 (valevoli solo per le piccole banche, non certo per i colossi bancari azionisti di controllo delle banche centrali a loro volta azioniste di controllo della BCE) si parla, a seconda degli impieghi, di una percentuale di riserva del 2% rispetto … al capitale sociale, non rispetto ai depositi!

Il “signoraggio” creditizio e la Moneta “virtuale”

Questo significa due cose tremende: a)che la percentuale di riserva non è “liquida”, consistendo in massima parte di immobili e titoli, e non di depositi; b)che le banche possono lecitamente prestare anche Moneta che non esiste nelle loro casse purchè il suo ammontare massimo sia contenuto in quell’importo il cui 2% è pari al loro capitale sociale: se esso è pari a € 1 Mld, potranno creare all’istante fino a € 49 Mld di Moneta elettronica e prestarla ad interesse, se 100 Mld, 4.900 Mld, e così via. E si calcola che la Moneta bancaria creata “allo scoperto” dalle banche private di tutto il mondo grazie a questo meccanismo moltiplicatorio virtuale (la così detta “riserva frazionaria” o“moltiplicatore bancario”) ed oggi in giro per il pianeta è così tanta che potrebbe comprare (senza pagare) circa 5 volte l’intero pianeta!
Per completezza va aggiunto che in forza di una convenzione contabile internazionalmente accettata le banche possono contabilizzare nei loro bilanci questa Moneta elettronica allo stesso modo di come contabilizzano i prestiti fatti con Moneta propria, ovvero iscrivendo al passivo l’importo mutuato (perché si sono impegnati verso i beneficiari del correntista a fare fronte ai suoi mandati di pagamento fino all’importo mutuato) e quindi iscrivendo il medesimo importo anche all’attivo (perché il mutuatario si è impegnato a restituire alla scadenza l’importo mutuato), con la conseguenza che alla restituzione annulleranno le due poste ed iscriveranno nel conto profitti e perdite solo la voce “interessi” pagando su di essi soltanto le relative imposte. Non distinguendo tra Moneta “propria” e Moneta non-propria “creata elettronicamente”, però, cosa accade alla restituzione? Accade che se in caso di liquidi propri non c’è nulla da ridire, in caso di Moneta non-propria e creata elettronicamente, non dovendo scrivere un bel nulla nel conto profitti e perdite e potendola iscrivere come se niente fosse nel loro stato patrimoniale, se ne  appropriano in perfetta legittimità a costo zero ed esentasse (così detto “reflusso bancario”)!
E tutto ciò tacendo della prassi di creare una quantità di società operative apparentemente indipendenti ed in realtà “sorelle” delle banche finanziatrici, che possono così operare sul mercato con dotazioni pressoché infinite e a costo-zero praticando concorrenza “sleale” rispetto alle imprese indipendenti dal loro sistema integrato di banche, assicurazioni e imprese mercantili operanti sui mercati internazionali. Va sotto il nome di “signoraggio creditizio” il gigantesco introito derivante dal doppio privilegio concesso alle banche private dalla “riserva frazionaria” e dal “reflusso bancario”. Un introito gigantesco da cui discende un potere economico, politico e sociale altrettanto gigantesco. Un potere che va difeso ad ogni (altrui) costo da ogni possibile istanza di controllo democratico e che presuppone il silenzio omertoso di scienza, media e politici, ovviamente “pagato”.

Il debito pubblico è “fisiologico” ma anche soltanto “virtuale”

Circa il debito pubblico, vanno adesso aggiunte alcune doverose precisazioni e la prima riguarda come e perché nasce un debito pubblico, cosa che pochi in genere si chiedono. I più ipotizzano una esigenza straordinaria quale una guerra o una calamità consimile piuttosto che le spese faraoniche di qualche dittatorello da operetta, ma pochi confrontano l’imposizione fiscale sui Redditi da Capitale (oggi al 12,5%) con quella sui Redditi da Lavoro (25%, per i salari  minimi e già il 40% ed oltre sugli stipendi medio-bassi) o quelli da impresa (dal 50% in su). Orbene, è a quegli stessi ceti possidenti che vengono sfacciatamente privilegiati in sede fiscale che viene quindi chiesto di prestare ad usura alla collettività quanto non gli è stato nemmeno chiesto di pagare come imposte, per cui la formazione del debito pubblico è fisiologica e non patologica.
La seconda cosa da puntualizzare è che il 90-95% del nostro debito pubblico resta ordinariamente invenduto nelle aste e viene da sempre “collocato elettronicamente”presso le banche che così si impegnano a fare fronte ai mandati di pagamento statali fino agli importi “collocati” usando la loro  Moneta creditizia che ormai sappiamo essere solo “virtuale”. Esso, pertanto, non è una posta “reale” ma semplicemente “virtuale”, allo stesso modo in  cui lo è la Moneta creditizia con cui viene scambiato. Nella misura in cui, poi, sono pubbliche le banche collocatarie, com’era nella prima repubblica, ovvero fino alla loro svendita bipartisan (praticata criminalmente a prezzi decine di volte inferiori ai soli bot ivi collocati), il debito pubblico diventa una posta non solo “virtuale” ma anche semplice “partita di giro”, venendo a coincidere la figura del debitore (lo stato) con quella del creditore (le banche pubbliche)!
Media e politici hanno invece sempre glissato sul fenomeno del “collocamento” dei bot ed hanno insistito a dirci in tutti questi anni che il nostro debito pubblico è la triste eredità della prima repubblica e delle sue scellerate scelte clientelari! Avremmo cioè vissuto al di sopra delle nostre possibilità ed oggi dovremmo stringere la cinghia e pagare il conto, confrontandoci con i due veri nostri “nemici”: la corruzione e la evasione fiscale.

La corruzione, la criminalità comune e la evasione fiscale

Per quanto riguarda la corruzione, vale la pena segnalare come essa non sia affatto il semplice prodotto della cattiveria dell’uomo, onde per cui dovremmo solo imputare a noi stessi la sua esistenza, dividendoci tra giustizialisti e rassegnati. Essa è infatti da sempre uno dei pilastri fondamentali su cui poggia ogni potere di classe, in quanto consente di fidelizzare i funzionari pubblici senza doverli strapagare ufficialmente e rendendoli nel contempo ricattabili, organizzando altresì una piramide delle corruttele che consente di sviare la imparzialità amministrativa ufficialmente rivolta a garanzia dei deboli, a favore di chi più riesce a corrompere, ovvero a favore di chi possiede più risorse economiche e politiche. E’ per questo che in ogni società classista ritroviamo una piramide di corruzione apparentemente incoercibile!
E non è nemmeno un caso che anche la criminalità sia così diffusa e apparentemente ineliminabile. Essa svolge infatti un ruolo molteplice al servizio del potere classista, in quanto: 1)devia verso uno sfogo antisociale la parte più turbolenta degli inoccupati e dei sottoproletari, alleggerendo nel contempo la pressione che rischia di sfociare verso il ribellismo sociale; 2)devia verso la piramide del crimine potenziali capi-popolo, trasformando parte della possibile protesta sociale in protesta individuale e integrando nella piramide potenziali avanguardie di lotta. 3)sposta verso uno sterile e ingenuo giustizialismo l’opinione pubblica ignara del suo significato politico e sociale; 4)permette un efficace controllo del territorio che si spinge fino alla colletta di voti clientelari indirizzabili verso i politici corrotti che promettono di usare la mano leggera verso la criminalità; 5)crea progressivamente una economia sommersa nella quale lo sfruttamento di classe è criminale e non sindacalizzato.
Per quanto invece concerne il tema della evasione fiscale, vale qui la pena sottolineare la specificità del caso italiano, la cui pressione tributaria al netto della evasione è superiore di circa il 3% rispetto alla media europea, mentre al lordo la supera di ben 20 punti percentuali! Come dire che se domani tutti gli evasori si pentissero e versassero spontaneamente quanto nominalmente a loro carico, si dovrebbero immediatamente ridurre di almeno 1/3 le imposte! Perché allora va così da oltre 50 anni? Semplicemente per criminalizzare 5 milioni di italiani e fare crescere a dismisura il numero dei sorteggiabili per i controlli, formando nello stesso tempo un esercito di piccoli contribuenti pronti a solidarizzare con la grande evasione, l’unica che veramente beneficia di questo terribile meccanismo sia in termini di mancate verifiche che in termini di egemonia culturale!

La non-rimborsabilità del debito pubblico

Lo hanno detto pure recentemente ai nostri cugini greci, con un rapporto debito/PIL del 115% che sono finite le “vacche grasse” e che è ora di fare sacrifici, ed ora tocca a noi ed al nostro 118%! In effetti, però, a ben guardare non stanno meglio nemmeno altri paesi come gli USA (84%), l’Inghilterra e la Germania (circa 100%) o il Giappone (200%), né in quei paesi la tassazione sui Redditi da Capitale è maggiore.
Come sappiamo tutti, scienza, media e politici ci dicono che i rimborsi dovrebbero essere praticati al più presto per riportare il rapporto debito/PIL in termini più accettabili (sperabilmente intorno all’80% se non a quell’ormai mitico 60% deciso a Maastricht e poi rinnovato con il “patto di stabilità”) e che, come già detto, lo si dovrebbe e potrebbe faretagliando corrispondentemente la spesa pubblica e/o aumentando per la parte restante il prelievo fiscale. Orbene, fatti due conti, a fronte di un PIL intorno a € 1.600 Mld ed un bilancio pubblico intorno a 750, abbiamo un debito pubblico superiore a € 1.800 Mld (il nostro rapporto debito/PIL, stando ai conti ufficiali è rimasto, dunque, a quello stesso 118% di 15 anni fa?!) su cui paghiamo ogni anno  interessi intorno ad € 80 Mld. Se volessimo davvero rimborsarlo in, poniamo, 20 anni, dovremmo ipotizzare tagli/aggravi da € 90 Mld annui cui sommare interessi a scalare per almeno € 40 Mld, per un totale annuo di oltre € 130 Mld. Niente a che vedere con le finanziarie da € 20-30 Mld che sono state ogni tanto operate bipartisan dai governi che si sono succeduti in questi anni alla guida del nostro paese, intervallando rassicurazioni su conti che sarebbero “a posto” con affermazioni allarmistiche che invocano l’unità nazionale e la dedizione al sacrificio. Conti alla mano, è di tutta evidenza che oggi non stiamo affatto rimborsando un bel nulla ma, al massimo, stiamo solo rallentando la velocità di aumento del nostro debito pubblico! Non solo, ma va anche considerato che, come abbiamo già accennato, per effetto del così detto e arcinoto “moltiplicatore keynesiano”, ogni rimborso così praticato provoca effetti recessivi multipli rispetto ai rimborsi, e, precisamente, pari a circa 3-5 volte ogni rimborso. Ne discende che ogni tentativo di contrarre il rapporto debito/PIL attraverso la contrazione del suo numeratore, solo se viene gravato sui ceti possidenti non provoca nessuna contrazione del PIL, mentre, se viene praticato gravandolo su lavoratori, pensionati, ceti medi e imprese, provoca una contrazione recessiva del denominatore che è multipla rispetto ad ogni rimborso, aggravando in definitiva quel rapporto anziché ridurlo!

Perché i mercati finanziari mostrano di credere alle nostre manovre deflattive?

Perché allora i mercati finanziari hanno preso per buone le manovre deflattive operate bipartisan dai nostri governi? Perché sanno benissimo che non potremmo mai rimborsare il nostro debito se non annullandolo o gravandolo sui soli Redditi da Capitale e sui patrimoni e preferiscono la recessione a qualsiasi manovra che altrimenti gravi sui ceti possidenti, scelta che viene confermata a ogni nuova manovra.
Perché gli organismi comunitari hanno sempre fatto finta di credere alla correttezza dei nostri conti ed hanno sempre chiuso entrambi gli occhi sullo sforamento dei nostri parametri? Per la medesima ragione.
Ma se tutti sanno tutto, perché fanno finta di credere l’impossibile? Perché “recitano” solo una rappresentazione per noi, trattandoci come bambini di 6 anni!
Ciò che loro interessa davvero è infatti solo l’asservimento dei popoli alla logica e alle esigenze della Rendita creditizio-finanzaria e dei ceti possidenti: se passa la logica dei sacrifici e del contenimento delle retribuzioni e del welfare, quella che non si possono tassare i ceti possidenti perché soffriamo di una “fame” endemica di Capitali da destinare agli Investimenti, quella che dobbiamo in ogni modo “pompare” la borsa e l’euro e tenere ad ogni costo bassa l’inflazione (pericolo “numero uno” in realtà dei soli ceti possidenti), che dobbiamo tenere le frontiere valutarie spalancate ad ogni sorta di transazione, fossero anche solo delocalizzazioni antinazionali e speculazioni, se passa questa logica, dicevo, la loro architettura creditizio-finanziaria e il loro mondo non corrono rischi.
Come infatti avanzare richieste di sicurezza nel posto di lavoro, di miglioramenti salariali e di potenziamento del welfare se dobbiamo tenere bassa l’inflazione, battere sul fronte del costo del lavoro la concorrenza “sleale” delle multinazionali delocalizzate e rimborsare con tagli e imposte sociali il debito pubblico?
Ed anche interessa loro il saccheggio di tutte le risorse planetarie ancora in mani pubbliche, possibile solo se le classi politiche corrotte e/o egemonizzate accettano di rimborsare a banche estere (o nazionali tributarie di quelle estere) un debito pubblico sempre crescente svendendo i “gioielli di famiglia” nel clima di generale scoramento e smarrimento provocato dalla recessione interna e internazionale.

Una elite creditizio-internazionale ha ormai trasformato il capitalismo

La elite creditizio-finanziaria che da tempo controlla tutte le grosse banche USA consorziatesi sin dal 1913 nella privatissima Federal Reserve e tutte le altre grosse banche, finanziarie ed assicurazioni del mondo, nel corso dello XX secolo ha acquisito pure il controllo della maggior parte delle multinazionali estrattive, energetiche, agroalimentari, industriali e mercantili del pianeta, integrandole in un unico “club” insieme alle loro “sorelle” creditizio-finanziarie. Oggi questo “club” intende completare la concentrazione nelle proprie mani delle risorse planetarie e disegnare la geopolitica più funzionale ai propri disegniGrazie al controllo della Moneta virtuale “compra senza pagare” tutto e tutti nel mondo, inclusi i media e i politici, e controllando anche gli Investimenti delle multinazionali e i loro listini ha trasformato il capitalismo in un sistema misto di capitalismo, feudalesimo e pianificazione dove è una ristretta elite sinarchista che pianifica lo sviluppo come la recessione e il loro tasso percentuale, nonché la loro stessa allocazione geografica semplicemente prestando e spendendo più o meno, qui o lì, la Moneta creditizia e cartolare che crea dal nulla a piacimento. Una elite che estrae la propria quota di prodotto sociale non solo attraverso il mercato, peraltro di oligopolio (extraprofitti da oligopolio), ma anche e soprattutto proprio attraverso questa Moneta “allo scoperto”.

Siamo ad una svolta antinazionale e autoritaria

A questa elite oggi non servono più gli stati nazionali ed essa non vuole più il minimo impedimento nella gestione del potere economico e politico.
La democrazia formale e i sentimenti nazionali sono per lei ormai solo dei relitti del passato e per questo “pompa” mediaticamente l’internazionalismo e la globalizzazione: peraffermare una forma dittatoriale di governo del mondo. E’ per questo che dal 2001 abbiamo un parlamento europeo che ha solo funzioni consultive mentre le leggi (le così dette direttive”) le fa il Consiglio d’Europa, formato dai soli capi di stato, nel quale le decisioni vengono prese in via “riservata”, ovvero senza la scomoda presenza di opposizioni e stampa, utilizzando gli uffici studi delle lobbies! Ed ecco pure perché, mentre le direttive sorpassano le leggi dei singoli parlamenti ormai esautorati e ridotti ad arene teatrali che nulla possono decidere, non c’è nessuna fretta di attribuire il potere legislativo in via esclusiva al parlamento europeo, perché queste sono le istituzioni che piacciono alla elite sinarchista: sovranazionali e non democratiche!
E’ così che si è distrutto il 50% del PIL “reale” ementre (?!) è raddoppiata la ricchezza dell’1% scarso della popolazione, si è dimezzato il tenore di vita del 99% restante, le cui condizioni di vita generali sono nel contempo peggiorate anche di più per via non solo dell’impoverimento generalizzato ma anche della contrazione del mercato provocata dai reiterati interventi deflattivi operati dai governi, che hanno sommato altri licenziamenti e  fallimenti a quelli provocati dalla crisi dell’Export-Import indotta dall’euro “forte”, con precarizzazione progressiva del mercato del lavoro e definitivo ripudio del contrato sociale che pure era stato alla base delle socialdemocrazie occidentali affermatesi nel secondo dopoguerra!
Quanto PIL verrà ancora distrutto da questa elite per creare il suo nuovo Ordine Mondiale? Come e quando si arresterà la disintegrazione dei ceti medi oggi in atto, l’impoverimento generalizzato e la espulsione di masse crescenti dal mercato del lavoro, al nord, ed il saccheggio delle risorse pubbliche al sud, con rincaro delle tariffe “sociali” e impoverimento sempre maggiore?
E quanto dovremo comunque attendere prima che i dominati si diano nuove rappresentanze che non coprano più omertosamente queste bugie ma rinneghino i dirigenti nel libro-paga della elite creditizio-finanziaria e lottino finalmente per il controllo democratico dei media e della Moneta?

Il programma per una Europa dei popoli

Il programma da sorreggere e diffondere infatti dovrebbe essere quello di strappare alla elite sinarchista la Moneta creditizio-cartolare e la fissazione dei listini all’ingrosso per sottoporli al controllo democratico.
Occorre infatti vietare la speculazione in borsa ed elevare al 100% dei depositi la “riserva frazionaria” delle banche private e vietare loro il “reflusso bancario”, nonchécreare un grosso polo bancario statale che si occupi della raccolta dei risparmi e dei servizi di cassa e credito alle imprese a ai privati, e presso cui collocare elettronicamente il debito pubblico.
Occorre poi introdurre il calmiere all’ingrosso e devolvere allo stato i servizi pubblici essenziali e i settori strategici, incluso l’ingrosso agroalimentare, i trasporti e le comunicazioni, comunque revocando le vendite di beni pubblici praticate bipartisan a prezzi sottomultipli di quelli di mercato.
Infine, occorre dismettere le vecchie politiche deflattivo-recessive e promuovere l’espansione del mercato interno praticando il deficit spending con debito collocato elettronicamente solo presso il polo bancario statale e bot indicizzati acquistabili dai soli privati residenti.
Nei rapporti con l‘estero, quindi, occorre recuperare il controllo centralizzato dell’euroripristinando ai confini della UE i controlli valutari antispeculazione vigenti in tutti i paesi preunitari fino agli anni ’80, chiudendo le frontiere valutarie alle transazioni prive di contropartita “reale” che non ricevano il visto delle autorità centrali. A quel punto, per mantenere invariata la competitività relativa del made in UE al crescere dell’inflazione, basterà svalutare periodicamente l’euro in proporzione all’eventuale differenziale di inflazione che residuasse nonostante il calmiere e l’anti-trust.
Se solo una parte dei paesi europei intenderà aderire a un simile progetto, occorrerà infine praticare la secessione monetaria dei paesi che vi aderiranno, o almeno affiancare all’euro una seconda Moneta a uso esclusivamente interno e con la quale effettuare i pagamenti da e verso lo stato ed in cui esprimere il debito pubblico da collocare presso il costituendo polo bancario statale.

NOTA1: perché i prezzi possano aumentare, quando la Domanda aumenta occorre che l’Offerta aumenti un po’ di meno e, quando la Domanda cala, che cali ancor di più rispetto alla Domanda, il che può avvenire solo volontariamente. E’ lo stesso fenomeno della periodica distruzione di derrate a fine di extraprofitto da parte dell’ingrosso agroalimentare che così trasferisce sui prezzi la tensione esercitata dalla quota di Domanda lasciata volontariamente insoddisfatta, solo che distruggere ciò che la natura ha creato è più appariscente di non-produrre manufatti o servizi!
         www.circolodegliscipioni.org
PROGRAMMA RIFORMISTA

1)introdurre vincoli anti-speculazione e anti-delocalizzazione, tassare le rivendite di titoli in rapporto al tempo intercorrente tra acquisto e rivendita, vietare il credito alle operazioni di borsa e dichiarare la nullità dei derivati speculativi;
2)congelare il debito pubblico detenuto in tranches superiori a € 1 mln e convertire il restante in titoli indicizzati a basso interesse attivo e garantiti dallo stato;
3)revocare tutte le dismissioni pubbliche praticate a prezzi inferiori al 30% del prezzo di mercato e nazionalizzare almeno la telefonia, le assicurazioni RCA, le utenze e i settori strategici, insieme all’ingrosso agroalimentare (onde calmierare i relativi prezzi all’ingrosso), nonché introdurre i prezzi massimi per i beni di fascia sociale;
4)invertire l’aliquota fiscale dei Redditi da Capitale rispetto ai Redditi da impresa e dimezzare l’aliquota sui Redditi da lavoro fino a € 50.000 annui, nonchè riformare in senso sociale la qualità della spesa pubblica;
5)recuperare progressivamente il potere di acquisto perduto da retribuzioni e pensioni per effetto della sottostima ufficiale dell’inflazione e introdurre la settimana di 30 ore su 5 giorni per i lavoratori delle imprese oltre 50 dipendenti;
6)introdurre l’equo canone sulla “mano morta” di istituzioni e imprese finanziarie;
7)vietare il lavoro nero, consentire il precariato solo in casi eccezionali, abbassare l’età pensionabile e introdurre sia il salario minimo garantito che un part-time obbligatorio per chiunque, cittadino o straniero, non sia in grado di dimostrare adeguati mezzi propri, da prestare per costituende agenzie pubbliche e contro retribuzione;
8)fiscalizzare il 50% dei mutui-casa e dei debiti verso banche delle imprese nazionali;
9)elevare la riserva obbligatoria delle banche private al 100% dei depositi e vietare loro il “reflusso bancario”, nonché nazionalizzare la banca d’Italia e le varie banche centrali, creando adeguati poli bancari pubblici che eroghino a calmiere i servizi di cassa e credito di esercizio per le imprese e presso cui collocare elettronicamente i vari debiti pubblici;
10)introdurre la trasparenza e la meritocrazia nella Pubblica Amministrazione e potenziare le imprese pubbliche economiche;
11)varare un vasto piano di “piccole” e “grandi” opere pubbliche finanziato con debito pubblico “collocato elettronicamente” presso i singoli costituendi poli bancari pubblici;
12)svalutare periodicamente l’euro in armonia con l’eventuale differenziale di inflazione;
13)comprimere lealmente la criminalità sia spicciola che organizzata e la corruzione politica, introducendo altresì adeguati meccanismi meritocratici nella Pubblica Amministrazione;
14)riformare in senso democratico i media potenziando i media pubblici e  introducendo un contributo statale al  prezzo di vendita della stampa e degli audiovisivi privati, nonchè calmierando l’uso della pubblicità e di qualsiasi altro mezzo di finanziamento occulto;
15)rescindere il legame perverso che lega i partiti ai gruppi finanziari.

Un programma sociale cui chiamare gli altri paesi della UE interessati  costruire una Europa “dei popoli” in cui viene promossa la espansione trainata dalla Domanda interna in regime di inflazione “controllata”, regime vincolistico di borsa ed Export-Import ed euro “debole”. Nell’attesa, introdurre a lato dell’euro una seconda Moneta ad uso esclusivamente interno e con cui esprimere il debito pubblico ed effettuare i pagamenti da e allo stato.                    www.circolodegliscipion.org

Nessun commento:

Posta un commento