mercoledì 11 giugno 2014

L’auto-riciclaggio: il “convitato di pietra”

FILODIRITTO, 05/06/14

L’auto-riciclaggio: il “convitato di pietra” dell’ordinamento penale italiano



È di questi giorni la notizia dello slittamento al 10 giugno prossimo venturo dell’esame dell’emendamento al DDL anticorruzione (DDL n. 19 contenente “Disposizioni in materia di corruzione, voto di scambio, falso in bilancio e riciclaggio”).
Il provvedimento di iniziativa parlamentare, assegnato alla Seconda Commissione (permanente) Giustizia del Senato in sede referente, intende costituire un primo intervento normativo diretto a “ potenziare (…) il contrasto al crimine organizzato, ma anche ai connessi reati di corruzione e di evasione fiscale (…)”, auspicando la reintroduzione nell’ordinamento giuridico italiano di norme che puniscano più gravemente il reato di falso in bilancio e rivedano la collocazione sistematica del delitto di riciclaggio, comprendendovi anche l’auto-riciclaggio.
Fino ad oggi nel nostro Paese non è stata intrapresa un’azione di contrasto effettivamente efficace.
Le principali convenzioni in materia esprimono la preoccupazione per le conseguenze generate da pratiche corruttive. In particolare, nell’arco di circa 15 anni (dal 1991 al 2005) sono state emanate n. 3 Direttive: la Direttiva n. 91/308/CE, modificata e integrata dalla Direttiva n. 2001/97/CE e poi successivamente abrogata e completamente sostituita dalla Direttiva n. 2005/60/CE (III Direttiva comunitaria) recepita e attuata con il Decreto Legislativo 21 novembre 2007 n. 231.
Nell’ambito della lotta alla corruzione, “(…) diventata una priorità nelle agende politiche internazionali (…)”, il succitato Disegno di Legge prevede, tra l’altro, l’introduzione per la prima volta nell’ordinamento giuridico italiano di una fattispecie unificata di riciclaggio e auto-riciclaggio, nell’intento di dotare “finalmente, magistratura e Forze di Polizia di uno strumento necessario e efficace per il contrasto al crimine organizzato, secondo le indicazioni contenute nelle direttive comunitarie in materia” (DDL n.19 in corso di esame in Commissione).
Con il termine di auto-riciclaggio si intende l’utilizzo e l’occultamento dei proventi illecitamente acquisiti da parte dello stesso autore del reato che ha generato detti proventi.

La fattispecie di riferimento è il delitto di riciclaggio, previsto e punito dal codice penale italiano all’articolo 648-bis.
Dall’analisi della norma penale emerge l’articolazione strutturale della fattispecie di riciclaggio, caratterizzata dalla presenza di un’autonoma condotta, di per sé penalmente rilevante, di pregressa realizzazione (e, perciò, definita “reato presupposto” o “reato fonte”), finalizzata all’acquisizione di “beni, denaro o altra utilità” che saranno l’oggetto della successiva attività di reimpiego.
In ragione della suddetta “architettura” della fattispecie penale, il responsabile del reato presupposto si dice che compia “auto-riciclaggio” poiché opera su ciò che egli stesso ha illecitamente procurato.
La clausola di riserva (“Fuori dei casi di concorso nel reato”) che costituisce l’incipit della succitata norma penale, esclude che il soggetto attivo del reato di riciclaggio possa essere l’autore o il concorrente nel reato presupposto. Ciò significa che, ai fini dell’integrazione della condotta criminosa, il riciclatore non deve aver partecipato al fatto illecito il cui frutto è il denaro o il bene riciclato né materialmente né istigando al reato o promettendo, prima della commissione dello stesso, la successiva attività di reinvestimento.
La ratio di tale scelta legislativa si fonda sul concetto di consunzione: per coloro che hanno partecipato alla realizzazione del fatto antecedente, l’utilizzo dei proventi illecitamente conseguiti rappresenta un post-factum non punibile, la naturale continuazione della condotta criminosa, non idonea ad assumere un diverso e autonomo rilievo penale.
Verrebbe in tal modo salvaguardato il principio del ne bis in idem sostanziale, il quale, in ambito penale, preclude che l’autore di un reato possa essere perseguito due volte per il medesimo fatto criminoso.
Peraltro la struttura della norma incriminatrice lascia aperta la via anche ad abili strategie processuali difensive che – qualora risulti conveniente per i responsabili dell’illecito – consento di salvaguardare gli stessi dalla condanna per riciclaggio mediante la falsa ammissione del concorso nel reato sottostante.
Già nel corso degli anni 2007 – 2009 il Fondo Monetario Internazionale e l’allora Governatore della Banca d’Italia (Mario Draghi) hanno manifestato perplessità e obiezioni in merito all’opportunità di mantenere nell’ordinamento penale italiano il c.d. “privilegio di immunità per l’auto-riciclaggio”.
E’ stato evidenziato che se l’incipit delle norme penali attualmente vigenti venisse espunto, si determinerebbe un ampliamento della fattispecie di reato, estendendola a tutte le operazioni sospette, anche quelle perpetrate in prima persona dall’autore del reato presupposto.
Ad animare ulteriormente il dibattito sul tema ha poi contribuito l’introduzione nell’ordinamento giuridico italiano del Decreto Legislativo 21/11/2007 n. 231, che, in attuazione della Direttiva 2005/60/CE (c.d. “terza direttiva”) e della direttiva 2006/70/CE, ha previsto una fitta serie di obblighi finalizzati a prevenire l’utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo.
Rilevante nel merito dell’argomento in corso di trattazione è soprattutto il testo dell’articolo 2 del citato decreto che contiene una definizione ampia di riciclaggio, costituita dall’elencazione di una serie di condotte rilevanti elaborate nell’ambito della normativa internazionale di settore. L’elemento di novità rispetto alla nozione penalistica ex articolo 648-bis del Codice Penale consiste nella mancanza dell’incipit “fuori dei casi di concorso nel reato”.
Ciò determina la rilevanza delle cosiddette condotte di auto-riciclaggio.
La disciplina dettata dal Decreto Legislativo 231/2007 ha posto rilevanti problemi interpretativi e applicativi in ragione della sopravvenuta coesistenza nel nostro ordinamento di due definizioni positive di riciclaggio: una di natura penale (ex articolo 648-bis del Codice Penale), e l’altra di carattere amministrativo (articolo 2 del Decreto Legislativo citato), strumentale all’adempimento di obblighi di prevenzione anti-riciclaggio.
Una divergenza tra previsioni normative – penali e amministrative – che ruotano intorno ad uno stesso fenomeno criminale, il riciclaggio (che nel diritto italiano aveva già vissuto una propria evoluzione scandita da diversi interventi di riforma), e procedono in parallelo.
Tutto ciò, per di più, in piena dissonanza con quanto sancito negli accordi internazionali che invitano ad adottare le misure necessarie per assolvere gli obblighi derivanti dalle convenzioni – ivi compresi i provvedimenti legislativi e regolamentari – compatibilmente e nel rispetto dei principi costituzionali e degli istituti fondamentali degli ordinamenti giuridici nazionali, espressione del patrimonio storico, sociale e culturale di ciascun Paese aderente.
Contribuisce altresì a determinare ulteriormente la confusione tra finalità e piani di intervento preventivo/repressivo la circostanza che nel medesimo testo del Decreto Legislativo n. 231/2007 si è voluto far riferimento anche alle ipotesi di utilizzo del sistema finanziario a scopo di finanziamento del terrorismo.
Sono stati in tal modo equiparati due fenomeni che, de iure e de facto, hanno una struttura profondamente diversa: mentre il riciclaggio ha come obiettivo quello di dissociare un patrimonio dalla propria origine illecita, il finanziamento del terrorismo mira alla raccolta di fondi, non necessariamente di provenienza illecita, per alimentare le attività criminali.
Le continue modifiche che hanno inciso sulla normativa in materia non ha facilitato e non facilita la coerenza complessiva del corpo legislativo in materia, incidendo soprattutto sulla capacità di comprensione e corretta interpretazione di alcune disposizioni.
A tutt’oggi nell’ordinamento penale italiano l’auto-riciclaggio non è previsto quale autonoma fattispecie penale; diversamente il reato è da tempo riconosciuto in Francia e in Germania, in Svizzera e negli Stati Uniti. In ambito internazionale vi è infatti un’ampia convergenza sia a livello europeo che globale a favore dell’introduzione del reato di auto-riciclaggio.
In discussione è preliminarmente la collocazione sistematica dell’istituto: “non esiste nel catalogo dei beni-interesse considerati espressamente nella parte speciale del codice penale, il bene giuridico collegato all’integrità del sistema finanziario” (DDL n. 19). Pertanto non appare agevole trovare un’autonoma collocazione per tale fattispecie, inserita nel codice Rocco nel Titolo XIII (“Dei delitti contro il patrimonio”) e geneticamente strutturato sul modello del delitto di ricettazione.
Ad oggi si può solo nutrire la speranza che il progetto di riforma attualmente in discussione in Parlamento possa generare un coerente corpo organico di norme, concretamente idonee a approntare strumenti di contrasto al fenomeno del riciclaggio e della corruzione e che l’auto-riciclaggio non sia destinato a ricoprire nell’ordinamento penale italiano il ruolo di “convitato di pietra”: una muta presenza inquietante e minacciosa, qualcosa a cui tutti pensano ma che nessuno osa nominare direttamente.

Pubblicato su filodiritto il 5/06/14 in Articoli Filodiritto Diritto penale In Evidenza - Articoli Materie

Nessun commento:

Posta un commento